Man mano che la nostra esperienza cresceva e maturava, un gruppo di persone avvertiva l'esigenza di approfondire il senso del proprio lavoro, di cercare le radici più profonde del proprio impegno, di rafforzare le motivazioni del nostro camminare insieme.
Era chiaro che la Provvidenza aveva suscitato un'opera dal nulla, in modo imprevedibile; ora però, gradualmente, andava delineando un suo progetto che ci trascendeva. Non bastava più lavorare, organizzare, servire. Il Padre celeste ci andava chiedendo qualcosa di più. Ci chiedeva di organizzare la nostra vita a modo suo.
Nel 1985 mi trovavo a Collevalenza di Todi, per l'annuale convegno dei direttori degli uffici catechistici diocesani. Un giorno, nel santuario presso la tomba di madre Speranza, ebbi come una luce interiore improvvisa: perché non pensare a una comunità di consacrati? Lì per lì la prospettiva non mi esaltò più di tanto, anche se continuai a pensarci per un certo tempo; ne parlai con alcune persone, mi confrontai, fui aiutato a saper discernere; ma le mie resistenze si rafforzavano.
Mentre ero a Siviglia, in Spagna, per una breve vacanza insieme all'amico fraterno, don Giuseppe Canalella, ripresi l'argomento e fui incoraggiato ad avviare il progetto. Incominciai, allora, a fare la proposta ad alcune persone che condividevano con me l'esperienza dell’Associazione. Grande fu la mia sorpresa nel constatare che loro la stavano aspettando e la desideravano intensamente.
La mattina del sabato santo del 1987 ci trovammo in cinque: io, due ragazze e una coppia di sposi, nella casa di questi ultimi, per pregare e dare avvio alla nuova esperienza. Sentivamo tutti di essere chiamati da Dio a percorrere una nuova strada, nel silenzio, nell'umiltà.
Eravamo coscienti di iniziare un cammino che avremmo percorso con tante altre persone, nel succedersi degli anni, sulle orme di Dio che, ancora una volta, parlava alla nostra vita attraverso la gente semplice e i fatti quotidiani, con la forza del suo Spirito, con il linguaggio della sua tenerezza. Volevamo vivere in radicalità il Vangelo, da consacrati, servendo i poveri, ma restando nel mondo, ognuno nella sua condizione di vita. Volevamo rispondere radicalmente all'appello di Dio e al suo disegno d'amore e ci parve chiaro che l'Associazione fosse solo una parte del progetto molto più grande che Dio aveva su di noi.
Il servizio che l'Associazione offriva, con le sue strutture, era ed è espressione della comunità cristiana, che sente l'urgenza dell'evangelizzazione dei poveri, attraverso la testimonianza d'una carità creativa, attuale ed efficace. La piccola Comunità di consacrati nel mondo era chiamata a essere l'anima più profonda di tutta l'Opera, l'humus più fertile.
Così il piccolo germe della nuova comunità cominciò il suo cammino di formazione nel clima del sabato santo, nel silenzio, nell'attesa, nella certezza che il Risorto ci avrebbe preceduto.
Presto cominciarono a delinearsi le indicazioni portanti della nostra nuova presenza nella Chiesa. Doveva essere una realtà aperta ai presbiteri, ai giovani e alle giovani, alle coppie. La chiamammo Comunità di Santa Maria dei poveri, con lo scopo di vivere insieme carisma e ministeri, nell'originalità e complementarietà dei doni, al servizio dei più poveri della nostra società.
La piccola Comunità era chiamata a esprimere, nel mondo, una presenza peculiarmente secolare e profondamente contemplativa.
Una spiritualità fondata sulla teologia dell'Incarnazione e della croce, che furono i dati essenziali nella vita della Vergine Maria, madre e modello della nuova esperienza, e la missione di compiere un cammino di formazione e di liberazione degli ultimi.
Si andava chiarendo in tutti la necessità di essere presenti al mondo in uno stile evangelico radicale: consacrati a Dio mediante un impegno di povertà, castità e obbedienza.
Era un progetto ardito, scaturito dai piani della Provvidenza; una proposta al di là di ogni saggezza umana. Persone che cercano di conciliare la vita di contemplazione e quella di azione, restando nel mondo da secolari.
E’ stato sorprendente per me vedere l'azione di Dio in questi giovani e ragazze che, nulla perdendo della propria umanità, seguono Cristo in una gioiosa, totale donazione nel servizio dei poveri e nel segreto del cuore. Sì, perché questo è un altro aspetto peculiare della comunità Santa Maria dei poveri: tutti i membri sono tenuti al segreto, a non parlare della loro appartenenza alla comunità, per restare liberi, per non essere etichettati, per poter lavorare nei campi più disparati.
Poiché nuovi membri si sono via via aggiunti ai primi, docili alla voce di Dio, occorreva un testo di riferimento: le costituzioni.
Durante un ritiro presso l'abbazia benedettina di San Martino delle Scale (Palermo) cominciai, quasi di getto, a stilare le costituzioni. Sono sempre più convinto della presenza dello Spirito Santo che guida il nostro cammino e ci fa percorrere strade imprevedibili.
Mio confidente era don Cataldo Naro, un confratello che mi è stato sempre vicino con i suoi consigli e la sua preparazione. Fu lui il primo a leggere il testo delle costituzioni che approvò quasi totalmente. Le sue indicazioni risultarono molto preziose. Nel frattempo il primo gruppo formato da due sacerdoti, due coppie e due ragazze pronunziarono la formula della consacrazione nelle mani del vicario generale della diocesi, monsignor Liborio Campione. Questa formula precisava l'impegno di seguire Cristo nel mondo, servendolo nei poveri mediante i voti di povertà, castità e obbedienza; ciascuno nel proprio stato, secondo la linea dell'amore gratuito di Cristo, che chiama ancora oggi al di là di ogni schema e di ogni merito.
Donati a Dio per sempre. Una sfida al mondo di oggi, senza potere di grandezza, ma semplicemente con la vita vissuta in modo feriale. Da laici, nella propria famiglia, svolgendo la propria professione e sostenuti dalla recita della liturgia delle ore, dalla celebrazione eucaristica quotidiana, da momenti di intensa preghiera, da periodi di ritiro, di silenzio, di ascolto.
In questo cammino abbiamo vissuto momenti di viva fraternità, periodi di condivisione, come negli esercizi spirituali annuali, nelle giornate di studio e di approfondimento e nei corsi di cultura teologico-spirituale.
E’ meravigliosa la loro voglia di sapere, di crescere, di andare avanti. Sono le persone che più di tutte le altre condividono le mie gioie, le mie sofferenze, le mie lotte e mi edificano con la loro disponibilità, con la loro generosità.
Poiché avvertivamo tutti la necessità di avere il sigillo ufficiale della Chiesa, chiedemmo l'approvazione al vescovo diocesano, monsignor Alfredo Maria Garsia.
L'8 settembre del 1991, finalmente, ricevemmo il Decreto di approvazione vescovile. Fu un'immensa gioia per tutti. Dio ha scelto per noi, e per quanti vorrà chiamare a condividere la nostra esperienza, il carisma della Comunità Santa Maria dei poveri, come cammino autentico per vivere la vocazione alla santità.
Ogni volta che nuovi membri, nella festa dell'Annunciazione, si consacravano a Dio, ci sentivamo anche noi fortificati nella certezza che Dio è fedele, anche se imprevedibile. Sceglie ciò che è più debole per confondere i forti e realizzare i suoi piani di salvezza, come ben dice san Paolo.
Questo nuovo carisma è così espresso nel Decreto vescovile:
«Lo Spirito Santo della Pentecoste, come vento e fuoco spira dove e come vuole suscitando, in ogni tempo e luogo, anime generose, pronte a offrirsi al Signore nell'amore e nel servizio dei fratelli. La santa Chiesa, madre sempre premurosa e tenera, ha favorito, saggiamente guidato e, con la sua autorità, riconosciuto le varie vocazioni e carismi. Il canonico Vincenzo Sorce, del nostro presbiterio diocesano, insieme ad altri fedeli, ha dato vita a un'associazione al fine di promuovere la santificazione dei soci, attraverso l'evangelizzazione e il servizio degli ultimi. È sorta così la Comunità Santa Maria dei poveri. Essa, come associazione di vita apostolica, è formata da presbiteri e laici, vergini e sposati, che trovano nel Verbo, incarnato in Maria, le proprie radici e la sorgente della propria santificazione, come espressione della tenerezza del Padre per gli uomini poveri e bisognosi di salvezza. Nella mia sollecitudine pastorale, dopo preghiere e lunga riflessione, avendo l'associazione i requisiti richiesti dai sacri canoni, con la mia autorità episcopale, a norma dei canoni 322 e 312 CIC, creo, costituisco ed erigo la Comunità Santa Maria dei poveri, con sede in Caltanissetta, in Associazione privata di fedeli, con tutti i diritti e gli obblighi, secondo le leggi della Chiesa, la legittima consuetudine e quelle proprie dell'associazione.
«Con questo decreto riconosco all'associazione Santa Maria dei poveri la personalità giuridica nella Chiesa e ne approvo lo statuto.
Del presente decreto e dello statuto si facciano due esemplari autentici, muniti di sigillo, di cui uno sia conservato nel nostro archivio e l'altro nell'archivio dell'Associazione.
«Dato a Caltanissetta, dal palazzo vescovile, il giorno 8 settembre 1991, nella natività di Santa Maria».
Da "IL CORAGGIO DI OSARE"
don Vincenzo Sorce
Edizioni Paoline - 1995
Agli inizi degli anni ottanta nasce a Caltanissetta l’Associazione “Casa Famiglia Rosetta” come esperienza di volontariato. L’iniziativa è una risposta ai bisogni del territorio nel campo della politica dei servizi sociosanitari e psicosociali, espressione del servizio della Comunità cristiana ai più poveri. Attraverso il viaggio nel mondo della sofferenza, si rivela il pianeta dell’emarginazione con le sue domande, i suoi vuoti, con tutta la drammaticità dei mille volti del disagio: handicap, droga, alcool, carcere, aids, solitudine, infanzia abbandonata.
L’esperienza nasce e cresce grazie alla disponibilità ed al coraggio di un gruppo di volontari, prevalentemente giovani.
Essa ha come obiettivi l’accoglienza, la riabilitazione, il reinserimento, la partecipazione alla vita delle persone in difficoltà. L’Associazione, che opera a livello regionale, nazionale, internazionale, ha avviato più punti di attività, con una schiera di operatori qualificati per i portatori di handicap, per minori a rischio, per ragazze madri, per persone con problemi di droga, alcool, aids, per persone anziane, per ex detenuti.
Man mano che l’esperienza è cresciuta, un piccolo gruppo di operatori e volontari ha avvertito l’esigenza di approfondire il senso del proprio lavoro, di cercare le radici più profonde dell’impegno al servizio dei più poveri, di rafforzare le motivazioni del camminare insieme.
La Provvidenza ha suscitato una nuova opera dal nulla, in modo imprevedibile, e gradualmente ha delineato un progetto che trascende il piccolo gruppo, al quale il Buon Dio ha chiesto di organizzare la propria vita in modo diverso. Il Sabato Santo del 1987 in cinque hanno iniziato un nuovo cammino aperto da Dio, per vivere nel mondo, nella radicalità, il Vangelo, da consacrati, servendo i poveri.
Una comunità nuova nella Chiesa, “Santa Maria dei Poveri”, per vivere insieme nella varietà, nell’originalità, nella complementarietà dei doni, al servizio dei più poveri della nostra società.
La comunità è chiamata esprimere, nel mondo e nella Chiesa, una presenza peculiarmente secolare e profondamente contemplativa. Una spiritualità fondata sulla teologia dell’Incarnazione e della Croce, dati essenziali della vita della Vergine Maria, madre e modello della nuova esperienza.
Al servizio dei poveri, da consacrati mediante un impegno di povertà, castità, obbedienza. Un progetto ardito suscitato dalla Provvidenza: preti, coppie, ragazzi, ragazze, uniti nell’ impegno di servizio ai più poveri, conciliando, nella quotidianità, azione e contemplazione, presenti nel mondo, come luogo teologico.
Una comunità che nello stile di silenzio, di umiltà, di servizio, di lode della famiglia di Nazaret, partecipa alla redenzione del mondo. Davanti a Dio totalmente, per sempre. Una sfida al mondo di oggi, un modo attuale per testimoniare il Vangelo nella società, dal di dentro, silenziosamente ma efficacemente. Un nuovo cammino per vivere oggi la chiamata alla santità. La Comunità “Santa Maria dei Poveri” ripropone, attualizzandolo, il carisma della vita consacrata come dono cli Dio per la Chiesa e per l’umanità. Scrivono i vescovi nella lettera alle Comunità Cristiane sulla vita consacrata: “Consacrato” vuol dire essere strumento cli una sua particolare presenza cli amore. È una vocazione che si realizza, per opera dello Spirito Santo, nella sequela radicale di Cristo casto, povero, obbediente, facendo propria, per dono suo, la
forma cli vita che Egli si scelse per sé, propose ai suoi, e che Maria, la Vergine Madre sua, abbracciò (cfr. Lumen Gentium, 44, 46). La nuova Comunità suscitata dallo Spirito in terra di Sicilia è segno della presenza del Risorto che “fa nuove tutte le cose” (Ap 21, 5), profezia ciel nuovo volto delle Chiese e della futura società. Realizzazione di una ministerialità globale e di comunione ecclesiale per un progetto di nuova evangelizzazione nell’ottica della messianicità del Cristo e dell’evangelicità della Chiesa che assume le nuove povertà per un processo di liberazione e si proietta in uno spirito di mondialità, al servizio dei più poveri, dei più disperati.
La Comunità “Santa Maria dei Poveri”, nell’umiltà e nel riserbo, vuole tradurre l’essere per il mondo, come amore creativo all’evento Gesù Cristo e come diaconia al fratello che incontra per liberarlo da ogni miseria e renderlo capace di sperare soltanto nella salvezza che viene da Dio.
Nella fedeltà alla storicità della comunità cristiana che vive la sua missione nel mondo, leggendo i segni dei tempi, ricostruendo il progetto di Dio attraverso le fila delle occasioni e delle situazioni quotidiane, nella logica della follia della Croce che la pone in contraddizione alla logica del mondo, esponendola alla possibilità della testimonianza fino al martirio.
La chiamata all’evangelizzazione dei poveri è missione d’impegno alla lotta contro il male inteso come rifiuto dell’amore, della luce, della comunione, come assenza di rispetto dei più deboli, dei più disperati. Lotta contro il male che si palesa come negazione di cultura, di salute, di pane, di casa, di lavoro, di fede.
Una comunità che trova nelle scelte di Maria il criterio delle proprie scelte, delle proprie decisioni.
La denominazione “Santa Maria dei Poveri” sottolinea la sua appartenenza al popolo dei poveri, la sua predilezione per i poveri, il suo impegno di liberazione. li Padre sceglie i poveri per rivelare i progetti del Figlio: l’umile Bernadette, a Lourdes, tre pastorelli a Fatima, una modesta famiglia di lavoratori a Siracusa.
Apparendo nel 1933 a Banneux NotreDame, villaggio del Comune di Louvigne, sull’altopiano delle Ardenne, in Belgio, la Vergine dice alla piccola Marietta: “Io sono la vergine dei poveri. Io vengo ad addolcire la sofferenza”.
Maria profondamente solidale con i poveri, fino a sentire tutta la sofferenza dei poveri, da portarne il peso, da sentirne la drammaticità, la vastità. In un’apparizione a Marietta la “Vergine dei poveri” le mostra una sorgente come a Lourdes. Una sorgente d’acqua viva. Cristo è la “sorgente” che può dissetare i poveri nella loro domanda di giustizia, di dignità, di amore, di rispetto. Ridare Cristo ai poveri, come Maria. Per la loro salvezza totale, per la loro liberazione integrale. È la missione della Comunità “Santa Maria dei Poveri”. Addolcire la sofferenza dei poveri rivelando la tenerezza del Padre, dando senso alla loro sofferenza nel sacrificio del Figlio, trasformando la loro sofferenza in energia creativa sotto l’impulso dello Spirito Santo. Traducendo l’a more in cultura, in politica, in impegno sociale, in evangelizzazione, in liturgia liberatrice. Dice la Madonna apparendo a Maria a Banneux: “Questa sorgente è riservata per tutte le nazioni. Per sollevare i malati.”
Un forte richiamo alla dimensione mondiale della solidarietà, al respiro universale del servizio dei più poveri. Dice Giovanni Paolo II al n.42 della Sollicitudo Rei Socialis: “Desidero qui segnalare l’azione o amore preferenziale per i poveri. È questa un’opzione, o una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana. [ ... ] Oggi, poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senza tetto, senza assistenza medica, e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell’esistenza di questa realtà.”
La vocazione della Comunità “Santa Maria dei Poveri” ha dimensione universale, aperta alla mondialità, senza limiti di cultura, di razza, di situazione sociale. Un piccolo seme nel cuore del mondo. Come Maria per testimoniare la forma più radicale della carità a tutto il mondo.
Da "INCULTURAZIONE E FEDE"
don Vincenzo Sorce
Società Editrice Internazionale (SEI) - 1996
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Lo Spirito Santo della Pentecoste, come vento e fuoco, spira dove e come vuole, suscitando, in ogni tempo e luogo, anime generose, pronte ad offrirsi al Signore nell’amore e nel servizio ai fratelli. La santa Chiesa, madre sempre premurosa e tenera, ha favorito, saggiamente guidato e, poi, con la sua autorità, riconosciuto, le varie vocazioni e carismi.
Il can. Vincenzo Sorce, del nostro presbiterio diocesano, insieme ad altri fedeli, ha dato vita ad un’Associazione, al fine di promuovere la santificazione dei soci, attraverso l’evangelizzazione e il servizio degli ultimi.
È sorta così la Comunità Santa Maria dei Poveri. Essa, come associazione di vita apostolica, è formata da presbiteri e laici, vergini e sposati, che trovano nel Verbo, incarnato in Maria, le proprie radici e la sorgente della propria santificazione, come espressione della tenerezza del Padre per gli uomini, poveri e bisognosi di salvezza.
Nella mia sollecitudine pastorale, dopo preghiere e lunga riflessione, avendo l’associazione i requisiti richiesti dai sacri canoni, con la mia autorità episcopale, a norma dei canoni 322 e 312 C.L.C., creo, costituisco ed erigo la Comunità Santa Maria dei Poveri, con sede in Caltanissetta, in Associazione privata di fedeli, con tutti i diritti e gli obblighi, secondo le leggi della Chiesa, la legittima consuetudine e quelle proprie dell’Associazione. Con questo decreto, riconosco all’Associazione Santa Maria dei Poveri la personalità giuridica nella Chiesa e ne approvo lo statuto.
Del presente Decreto e dello statuto approvato, si facciano due esemplari autentici, muniti di sigillo, di cui uno sia conservato nel nostro archivio e l’altro nell’archivio dell’Associazione.
Dato a Caltanissetta, dal palazzo vescovile,
il giorno 8 Settembre 1991, nella Natività di Santa Maria.
+ Alfredo Maria Garsia Vescovo
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Da quando, per disposizione della Divina Provvidenza, sono stato posto al servizio e alla guida della Chiesa di Dio che è in Caltanissetta, ho constatato una fioritura di iniziative e opere caritative che rendono credibile il Vangelo e autenticano la missione della Chiesa nel mondo, grazie ad una molteplicità di carismi che si articolano in una squisita carità soprattutto nei confronti dei poveri e degli ultimi.
Tra questi si impone in Diocesi la «Comunità Santa Maria dei Poveri», fondata e diretta dallo zelo del Sac. Vincenzo Sorce, il quale presiede e anima una vasta rete di strutture caritative, che travalicano i confini territoriali della Chiesa nissena, al servizio di antiche e nuove povertà che affliggono la nostra società.
La «Comunità Santa Maria dei Poveri», il cui primo germoglio fiorì il sabato santo del 1987, si pone nella Chiesa e quale significativa espressione della Chiesa come una associazione di vita apostolica che, mediante l’evangelizzazione e la testimonianza della carità, mira alla santificazione dei suoi membri sacerdoti e laici, vergini e coniugati che libera mente e gioiosamente si pongono alla sequela di Cristo Gesù attraverso i voti di povertà, castità e obbedienza.
La Comunità è, e sempre più vuole essere, testimonianza viva del Vangelo dando volto nella storia alla tenerezza di Dio, Padre premuroso verso i più poveri e bisognosi di salvezza.
Pertanto, avendo attentamente esaminato le Costituzioni aggiornate e avendole trovate conformi alle indicazioni del Magistero della Chiesa e ai sacri canoni,
DECRETO
l’approvazione delle nuove Costituzioni esortando tutti i membri della Comunità, sull’esempio di Maria, a perseverare nel loro impegno di fedeltà a Dio e ai poveri. Inoltre, ricorrendo il ventesimo anniversario della prima originaria ispirazione e il quindicesimo anniversario del!’ autorevole ecclesiale riconoscimento,
Confermo definitivamente
Il decreto dell’8 settembre 1991 del mio venerato predecessore S. E. Mons. Alfredo M. Garsia, con il quale veniva costituita ed eretta la Comunità Santa Maria dei Poveri in Associazione Privata di Fedeli e, altresi, ne veniva riconosciuta la personalità giuridica nella Chiesa. la Vergine Maria, Madre dei poveri, vegli sul cammino della Comunità e la guidi verso la meta alta della vita cristiana accompagnandola nel cammino alla sequela del Cristo Gesù, Figlio suo e Signore nostro.
Dato a Caltanissetta il giorno 8 dicembre 2006, solennità dell’Immacolata Concezione di Maria SS.ma, quarto anno del mio episcopato.
+ Mario Russotto Vescovo
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Lo Spirito ha suscitato in mezzo al suo popolo del Brasile la comunità «S. Maria dei Poveri» come contributo, in modo originale, per la vita cristiana e la spiritualità di tutta la Chiesa. la Comunità, fondata a Caltanissetta, Italia, da p. Vincenzo Sorce, da quindici anni sta lavorando a servizio dei nuovi poveri della nostra terra nella Chiesa particolare di Porto Velho, promovendo l’ideale dell’unità, della partecipazione e dell’impegno apostolico tra le persone nella fede, come un modo specifico di vivere il Vangelo e di partecipare alla missione della Chiesa.
le Costituzioni e il Regolamento della Comunità «S. Maria dei Poveri», sono una sintesi semplice e profonda di ciò che deve essere la vita cristiana oggi. Anche se scritto in Italia, il testo esprime in modo molto felice i grandi valori della nostra spiritualità latinoamericana; la sequela di Cristo, come ce lo rivela il Vangelo, l’opzione preferenziale per i poveri, la liberazione integrale, la valorizzazione dei laici, la solidarietà con le vittime dell’ingiustizia, con gli esclusi, con gli ultimi. la comunità «S. Maria dei Poveri» sceglie di condividere l’itinerario evangelico tradotto nel presente Statuto e nel Regola mento e si impegna con responsabilità in questo cammino che porta alla santità.
Ci ispiriamo alla figura di Maria, Santa Maria dei Poveri. I membri della Comunità realizzano il loro impegno e vivono lo spirito mariano nelle situazioni ordinarie della vita e del lavoro, con sensibilità e caratteristiche laicali, e diffondono i loro valori nel proprio ambiente.
Per questo confermo definitivamente il decreto dell’8 settembre 1991 di S. E. Mons. Alfredo M. Garsia, Vescovo di Caltanissetta, e costituisco la Comunità Santa Maria dei Poveri, come Associazione Pubblica di Fedeli, di Diritto Diocesano, riconoscendone la personalità giuridica nella Chiesa.
Porto Velho, 22 febbraio 2007
Festa della Cattedra di S. Pietro
+ Moacyr Grechi arcivescovo
CALTANISSETTA
PALERMO
MARSALA
PORTO VELHO - BRASILE
TANGA - TANZANIA
La comunità è costituita da persone provenienti’ da diverse situazioni di vita, sacerdoti, seminaristi, laici sia uomini che donne, sposati; vedovi, divorziati e separati non risposati, in situazione di emarginazione, di malattia, che sono state chiamate dal Signore e verificate dai Superiori espressione della Chiesa per vivere totalmente donate al Signore e mandate a portare il lieto annunzio di salvezza ai poveri del tenitorio e del mondo, vivendo secondo il Vangelo come vivevano Gesù, Maria e Giuseppe a Nazareth.
La comunità è chiamata «Santa Maria dei poveri» perché è sotto la protezione della madre di Dio che ha accolto nel suo grembo Gesù Verbo incarnato.
Dio Padre in Gesù ha rivelato e comunicato la sua tenerezza e il dono della salvezza, mostrando la sua solidarietà alle persone più povere, più bisognose, più emarginate. Gesù stesso ha voluto essere come loro e per loro debole, povero, ultimo, servo.
A fondamento della spiritualità della Comunità è il mistero dell’Incarnazione di Gesù, che da ricco si è fatto povero, uomo, espressione dell’amore della Santissima Trinità.
Egli è voluto entrare nella storia degli uomini, farsi partecipe dell’umanità, facendosi prossimo, vicino, scegliendo la strada della condivisione, amando il mondo, rendendolo luogo della sua presenza, spazio per la sua trasformazione secondo il progetto di Dio, orientando tutto ciò che esiste ed appartiene verso Cristo, il punto più alto del creato e dell’umanità.
Tutto questo parla della scelta di Dio, per mezzo di Gesù, di compromettersi per il mondo, caricandosi del peso del male, del dolore, della fragilità, del peccato, per vincere tutto ciò che è negativo e trasformarlo secondo il suo cuore.
La comunità per realizzare tutto questo insieme con il Signore della storia, vive come Maria nella fedeltà alla parola di Dio e nella fedeltà di servizio ai poveri.
Così, in tutti i suoi membri prolunga l’Incarnazione di Gesù, lo stile di vita di Gesù che si è donato per il mondo fino a morire, nudo, povero, crocefisso e che ora vive nella vita della Chiesa, nella Liturgia, nei Sacramenti, nei poveri.
Per essere fedeli a Dio non si può non essere fedeli servitori dei poveri, dei loro bisogni, dei loro diritti.
Il povero è figlio di Dio, è sacramento di Cristo, cioè rende presente Cristo da amare, da accogliere, da servire, da liberare, restituendogli la sua dignità.
I membri della comunità sono chiamati. ad amare i poveri come li ama Cristo. Questa spiritualità può essere vissuta nella vita consacrata attraverso la professione dei Consigli evangelici o semplicemente in una vita cristiana ispirata alle Costituzioni e al Regolamento della Comunità.
Dio per salvare il mondo ha mandato il suo Figlio Gesù Cristo facendogli percorrere la strada della povertà e della croce. Anche la Chiesa vive le stesse scelte di Gesù ed è per questo che i membri della Comunità sono guidati dalla sapienza della croce e dalla vita di povertà. Tutto questo e possibile attraverso un amore sincero e generoso alla Chiesa, ubbidendo alla sua dottrina, ai suoi insegnamenti, vivendo la sua stessa missione, schierandosi dalla parte dell’ultimo, vivendo la missionarietà, accettando la chiamata di andare fino agli estremi confini della terra a portare il Vangelo dell’amore di Dio ai più piccoli, preferendo sempre le «periferie», i luoghi più abbandonati.
I membri della comunità sono chiamati ad essere sempre e dovunque creativi, cercando con passione le vie più attuali ed efficaci per aiutare gli “scarti’; della società con tutti i mezzi nella Chiesa e nel territorio. Attivare la fantasia dell’amore.
La conversione è vera, autentica, se si traduce in scelte concrete di servizio che rinnovano la Chiesa e l’aiutano a diventare sempre di più: “casa aperta”, “madre”, “Chiesa in uscita”, “Chiesa ferita”, “tenda da campo”, umanizzano la società ed hanno come obiettivo primario rendere gli ultimi conformi a Cristo, uomo perfetto.
La vita dei consacrati è la stessa vita di Cristo, è diventare come Cristo, essere configurati a Lui, essere trasfigurati come Lui, vivendo come Lui uno stile di vita casto, povero, ubbidiente, servo, ultimo di tutti.
La proposta di Cristo a chi vuole seguirlo è il messaggio delle beatitudini che si esprime professando i consigli evangelici.
Essi non sono delle leggi, esprimono uno spirito, uno stile di vita in contrasto con lo stile di vita del mondo, aiutano i consacrati ad essere una presenza terapeutica nella società, uno strumento di umanizzazione, perché aiutano a vivere in modo nuovo il rapporto con le cose, con i beni terrestri, con il denaro, vincendo la tentazione di accumulare tutto e solo per se stessi. Possedere per condividere, per donare, per servire.
Corporeità, affettività, sessualità, rapporti, relazioni vengono visti e vissuti nell’ ottica di Dio che li illumina e li trasforma nella direzione del rispetto e del dono.
Povertà, castità, obbedienza, esprimono il linguaggio del Vangelo per chi è stato chiamato ad una presenza e ad una testimonianza in ogni ambiente, in ogni ambito, in modo nuovo contro corrente, esprimendo i valori del Regno di Dio, il primato della spiritualità, la novità dell’essere cristiani.
Ogni stato di vita è uno spazio per rivelare il situarsi nel mondo con gli occhi e il cuore di Dio. I voti sono strumento di sviluppo integrale per la singola persona, per la coppia, per la famiglia, per la comunità, per la Chiesa e per la società, perché sono espressione di crescita e di sviluppo completo della persona, guida per raggiungere la pienezza, la statura perfetta in Cristo.
I consigli evangelici sono un dono, presuppongono una chiamata ed esigono una risposta responsabile.
Chi vive in profondità e in autenticità i voti annuncia l’unica novità che è Cristo.
Il rapporto genitori-figli e ispirato alla logica delle beatitudini, alla pedagogia cristiana in contrasto con quella del mondo. È tutta la famiglia che è chiamata a vivere la spiritualità della Comunità.
La vita consacrata è vita di intima unione con Dio. Il contenuto fondamentale di essa è la ricerca di Dio, è l’esperienza di Dio, è la comunione con Dio. Lasciarsi prendere, possedere, inabitare da Dio, diventare sua esclusiva proprietà.
Ciò che guida e da senso alla vita consacrata è il primato di Dio vissuto nella ferialità della vita e nella secolarità, nel mondo per rivelarlo al mondo nelle sue svariate strutture, ambiti, ambienti.
Senza vita contemplativa non c’è vita consacrata, non c’è missione, non c’è servizio evangelico. Ciò che da unità alla vita dei consacrati e li libera dalla superficialità e dalla frammentazione di essa è la contemplazione che è fatta di silenzio, di ascolto, di meditazione, di preghiera, di Sacramenti, di Eucaristia, di Lectio divina, di abbandono totale alla volontà di Dio.
La vita contemplativa si proietta come sguardo nuovo sull’accostarsi ai poveri guardandoli dal punto di vista di Dio.
Vita contemplativa, liturgia, servizio ai poveri si armonizzano e si integrano vicendevolmente. Quanto più si diventa contemplativi, tanto più si penetra nel mistero di Dio e nel mistero dell’uomo.
La missione dei consacrati non è solo umanitaria, non è solo impegno di solidarietà, impegno nel sociale, ma è principalmente svelamento e condivisione della presenza salvifica di Dio, è condividere l’esperienza di Dio, portare e rivelare la tenerezza e la compassione di Dio.
Assillo e impegno prioritario dei consacrati è la ricerca di Dio lasciandosi interrogare dai segni dei tempi, da Dio che si rivela, attraverso la storia, gli eventi, le persone, i fatti.
La Chiesa è comunione perché ha le sue radici e il suo fondamento nella santissima Trinità, che è relazione, che è reciprocità di amore e nell’ Amore.
Ogni esperienza ecclesiale, l’esperienza della Comunità Santa Maria dei poveri si modellano sulla vita della Trinità.
Questa dimensione è fondamentale per i membri della Comunità. Pur non vivendo nello stesso spazio, in strutture residenziali, sono chiamati a vivere in comunione con ogni membro, con tutti i membri, vivendo nel mondo e testimoniando la vocazione ad essere una sola cosa, come la Trinità, per costruire un mondo a misura d’uomo.
Ogni comunità, in comunione con i superiori, esprime lo spirito di comunione con le proprie modalità nel rispetto del carisma.
Vivere da uomini nuovi, da donne nuove, è rendere presente lo spirito del Cristo risorto.
Comunione fraterna che ha il volto dell’accoglienza, della misericordia, del perdono, della condivisione, della Carità, della riconciliazione.
Tutto si traduce nel portare gli uni i pesi degli altri, condividendo gioie, speranze, fatiche, dolori. La vera fraternità conduce alla condivisione dei beni, al supporto per chi è più debole, agli anziani, a chi è più solo.
Camminare insieme con lo stesso ritmo dei passi, aspettandosi ed incoraggiandosi.
La vita consacrata è un cammino, è un’esperienza che si vive gradualmente, progressivamente, alimentata dal primato della formazione. Non si può essere autoreferenziali, non si può camminare da soli, non si può essere pionieri isolati. La formazione tiene conto del senso della vita consacrata con i suoi presupposti biblici, teologici, spirituali e contemporaneamente dei suoi aspetti umani, culturali, psicologici, con l’apporto delle scienze umane mettendo al centro l’uomo con le sue molteplici dimensioni, in un orizzonte di fede, nella visione cristiana della persona.
La formazione tiene conto dei differenti stati di vita, di singoli o sposati e specialmente della specifica vocazione secolare, cioè inseriti nel mondo, nella logica del calarsi dentro il mondo, legata all’Incarnazione, come capacità di presenza nei territori e negli ambienti dove si vive, in un vero dialogo dentro la Chiesa e fuori, anche con le altre Religioni.
La formazione per essere efficace deve essere permanente, competente, nel dialogo, nel confronto. Non c’è formazione senza studio personale. Formazione è educarsi a pensare e a pensare insieme.
Ogni membro della Comunità trova spazio per la lettura personale, per aggiornarsi professionalmente, per inserirsi nel dibattito culturale contemporaneo, seguendo l’editoria cattolica, il quotidiano «Avvenire», la rivista «Solidarietà», le pubblicazioni della casa editrice «Solidarietà» delll’ Associazione «Casa Famiglia Rosetta».
La chiamata alla vita comunitaria è iniziativa di Dio, è dono che parte da Lui e perciò è necessario un serio discernimento che ne verifichi l’autenticità e le condizioni esistenti.
Ogni vocazione va verificata, sostenuta. Verificare la chiamata è verificare la chiamata ad uno specifico carisma come quello di Santa Maria dei poveri.
Dimensione umana, morale, spirituale si integrano e costituiscono elementi importanti per iniziare un cammino vocazionale.
Sono da rispettare tempi e modalità che passano da itinerari precisi, dalla conoscenza del carisma, delle sue costituzioni e regolamento, delle sue norme, dell’accompagnamento dei responsabili.
Età, stato di salute, personalità di base vanno valutate seriamente come capacita di disponibilità al cambiamento, alla configurazione, alla trasfigurazione.
Ogni chiamata ed ogni risposta è una seria responsabilità ecclesiale.
Impegno della Comunità è lo sviluppo della pastorale vocazionale che aiuta i membri, i figli, a scoprire e vivere la propria vocazione e promuovendo iniziative rivolte ai giovani per aiutarli a scoprire i progetti di Dio sulla loro vita.
La comunità è una realtà complessa, bene articolata, gerarchica, con obiettivi, mezzi, strumenti propri.
È la sinfonia dell’età, delle storie, delle culture, delle provenienze, dei doni e delle attitudini. Sono energie che vanno ben strutturate e finalizzate.
La comunità è il luogo della crescita, dello sviluppo di ogni membro e di tutti i membri con l’apporto di tutti.
È importante sviluppare in tutti il senso di appartenenza che si esprime come partecipazione alla vita di essa e impegno di corresponsabilità di ognuno con il suo ruolo visto e vissuto come servizio.
La reciprocità è legge fondamentale perché nell’esercizio di essa si esprime la fraternità, la condivisione, si accresce la comunione, si vince ogni forma di emarginazione, ogni forma di solitudine.
Ognuno è presenza umile e creativa, gioiosa e intraprendente.
La comunità si solidifica nella verità e nella carità. Ogni ruolo, ogni responsabilità è chiamata al servizio. Governare è servire con l’atteggiamento dell’ultimo, del servo come Gesù, servo ed ultimo di tutti.
La comunione e la condivisione si concretizzano anche attraverso la messa in comune dei propri beni. È una caratteristica della Chiesa delle origini. Un’ esperienza che va vissuta oggi da chi vuole vivere nella concretezza dello stare insieme.
Ogni membro è chiamato a donarsi e a dare, maturando sempre di più la cultura del dono.
Non c’è vera conversione senza l’apertura del salvadanaio.
Servirsi del denaro e non servire il denaro.
La comunità può possedere dei beni ma solo come spazio di fraternità, come strumento per la crescita del Regno di Dio, come possibilità di progettare opere che aiutino a vivere il carisma.
Proprietà di Dio, proprietari dei doni di Dio per arricchire i fratelli.
Tutto ciò che abbiamo in più, come singoli, come famiglia, come comunità, appartiene ai poveri.
Espressione della condivisione dei beni è l’esercizio della decima fatto in modo responsabile, puntuale, generoso, alla luce della Parola di Dio, della propria coscienza, delle proprie possibilità, in un confronto sincero con il proprio Responsabile per partecipare ad iniziative, a progetti promossi dalla Comunità.
DA "CON MARIA A PIEDI SCALZI PER LE STRADE DEL MONDO"
don Vincenzo Sorce
EDIZIONI SOLIDARIETA' - 2017
Apparizioni Madonna dei poveri a Banneaux 1933 alla piccola Mariette della famiglia Becò.
Banneux, nel territorio di Liegi, Belgio, villaggio delle Ardenne, 325 abitanti, frazione del Comune di Louveigné. Gennaio febbraio marzo 1933.
Famiglia Becò, operari, Mariette, la più grande, nata il 25 marzo 1921, Festa dell‘Annunciazione, Venerdì Santo.
* * *
15 gennaio 1933, ore 19. 00, prima apparizione
Una donna, un chiarore. Invita Mariette ad andare da Lei, ma è impedita dalla madre.
18 gennaio, seconda apparizione
È luminosa, bella, radiosa come il sole, splendente, sorride dolcemente, la invita 1a seguirla: "Metti le mani nell’acqua. Questa sorgente è riservata per me". Buona notte. Arrivederci.
19 gennaio, terza apparizione
"Chi siete, bella signora?" "Sono la Madonna dei poveri"
"Voi avete detto: questa sorgente è riservata per me. Perché per me? (e porta la mano sul petto indicando se stessa).
La Madonna:
"Questa sorgente è riservata per tutte le nazioni, per sollevare gli ammalati. Io pregherò per te"
"Grazie, grazie"
20 gennaio, quarta apparizione
"Che cosa desiderate, bella signora?"
"Una piccola cappella"
Stende le mani sulla piccola e la benedice.
11 febbraio, quinta apparizione
"Vengo ad addolcire la sofferenza"
"Grazie, grazie"
15 febbraio, sesta apparizione
"Credete in me. Io crederò in voi. Pregate molto. Arrivederci"
20 febbraio, settima apparizione
"Mia cara bambina, pregate molto. Arrivederci"
2 marzo, ottava apparizione
"Io sono la Madre del Salvatore, la Madre di Dio. Pregate molto. Addio."
"Non la rivedrò più. Mi ha detto addio"
La notte è il linguaggio di Dio, eventi di salvezza, nel cuore della notte. La notte della creazione (Gen l, 1-3), la notte dell’uscita dall’Egitto e la notte della Pasqua (Es 12, 37-51), la notte della nascita (Lc 2, 1-14). Il tradimento (Gv 13, 21-30) sul Monte degli ulivi e l’arresto (Lc 22, 39-47), la tomba vuota (Gv 20, 1-9), camminare nella luce (Gv 5-7).
La notte di Pasqua, il risorto.
Nella notte di Banneux, una luce fioca, sempre più luminosa, fortissima.
Luce che sconfigge le tenebre del1’incredulità: conversione di Manette, conversione del padre, conversione del sacerdote, conversione della folla. Fede e luce (Gv 3, 16-21).
Dice la Vergine nella sesta apparizione: Credete in me e io crederò in voi.
La fede sconfigge le tenebre anche se a volte il cammino da percorrere è lungo.
Il cammino nella notte (Is 8, 21-23). La sentinella: "Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?". La sentinella risponde: "Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandate, domandate, convertitevi, venite" (Is 21, 1112).
P. Duval canta: "Perché hai fatto la notte così lunga?"
Banneux, in una regione povera, luogo umido e paludoso, chiamato "Fange", il fango. Foresta di abeti. Una casa modesta, circondata da un piccolo orto. Una famiglia dove si intrecciano ignoranza, miseria, indifferenza religiosa. Unica ricchezza, sette figli al tempo delle apparizioni, diventati poi undici. Una madre anemica, un padre modesto operaio. Una chiesetta semplice. Appena un segno in un deserto arido di vita. Due donne protagoniste: la Signora e la bambina Mariette, madre e figlia in una relazione ricca di affettività e di tenerezza.
Mariette è invitata ad andare dalla Bella Signora, è chiamata “mia cara bambina”, “Stende le sue mani sulla piccola e la benedice”. “Sorride dolcemente”. Appare bella, luminosa, radiosa come il sole, splendente, Maria. È la donna dell’Apocalisse (Ap 12, 1). Al centro, la presentazione di Maria nella sua identità: “Sono la Vergine dei poveri”. Povera, e, perciò, dei poveri. Scrive Clodovis Boff:
«Guardò»: la preferenza di Dio per i poveri
Nelle quaranta volte in cui la parola tapéinòsis compare nei LXX, essa è accompagnata dal verbo 'vedere'. Così parla Lia, umiliata da Rachele: «Il Signore ha visto la mia tapéinòsis» (Gen 29,32). Lo stesso si dice di Giacobbe (Gen 31,42), di Anna (1 Sam 1,11) e anche d’Israele come popolo in generale: «Il Signore ha visto la nostra tapéinòsis» (Dt 26,6-7).
Il senso è chiaro: Dio si china sul misero, è attento all'afflitto, si pone accanto al povero. «Vedere la tapéinòsis» è espressione della compassione divina verso la sofferenza umana. Pertanto, ‘vedere’ o ‘guardare’ l’umiliazione’ è espressione dell’opzione di Dio per i poveri e della sua volontà di liberarli. Di fatto, il ‘guardare’ di Dio simbolizza molte volte la sua sollecitudine nel liberare coloro che sono afflitti. Così:
«Ho visto l’oppressione del mio popolo... E sono sceso per liberarlo» (Es 3,78). E anche: «Il Signore dal cielo ha guardato la terra, per ascoltare il gemito del prigioniero, per liberare i condannati a morte» (Sal 102,2021). E così in molti Salmi (32,1819; 33,16; 105,44; 137,6 ecc.).
Pertanto, Maria confessa che è stata la sua situazione di piccolezza che ha attratto lo sguardo misericordioso di Dio. È ciò che esprime la liturgia: «Rallegratevi con me, voi tutti che temete Dio, perché, essendo piccola, sono piaciuta al Dio Altissimo». Come per l’amore, così anche per la grazia: tutto comincia con lo sguardo. La prima e più grande grazia che ha ricevuto Maria è questo sguardo di Dio posto su di Lei, la povera serva, che si riteneva indegna di tutto. Dice bene K. Barth:
Tutti gli angeli di tutti i cieli guardavano solo verso questo luogo, dove si trovava Maria, la ragazza alla quale, tuttavia, non accadde nulla se non un semplice sguardo, rivolto alla sua bassezza... Se qualche volta, nella storia universale, qualcosa di fondamentale avvenne, è stato precisamente questo ‘sguardo’.
Solo dopo vennero tutte le altre grazie, incluso quella della sua maternità divina, che già è immensa, quasi infinita. Difatti, è perché Dio ha guardato la Vergine che Ella concepì, e non il contrario, come sottolinea fortemente Lutero. Il caso della Vergine è il paradigma di ciò che avviene con tutti i piccoli, gli infelici e gli amareggiati di questo mondo. Scrive il Riformatore:
Gli occhi di Dio guardano soltanto verso il basso, mentre gli occhi umani solo in alto. Questi cercano la condizione vistosa, brillante, lussuosa ... È una caratteristica di Dio guardare le cose insignificanti. [ ... ] Maria vuol dire questo: Dio ha guardato me, una povera ragazza, disprezzata e insignificante. Egli avrebbe potuto scegliere ricche, importanti, nobili e potenti regine, figlie di principi e grandi autorità. Avrebbe potuto benissimo scegliere la figlia di Anna o Caifa, che erano i maggiorenti del paese. Però egli ha guardato a me per pura bontà e ha usato per questo fine una ragazza umile e disprezzata.
Secondo Giovanni Paolo II, il Magnificat è il manifesto dell’ ‘amore preferenziale’ di Dio per i poveri (Ma 37). In verità, l"opzione preferenziale per i poveri’ è un tema trasversale a tutta la tradizione biblica. Fa parte della ‘logica divina della storia’. L’elezione d’Israele, sebbene fosse il «più piccolo di tutti i popoli», è uno dei temi centrali del Deuteronomio (Dt 7,7). Ed è sempre così nella storia della salvezza. Abbiamo visto, tanto nell’AT come nel NT, che Dio rompe, frequentemente, la logica umana e sorprende tutti, scegliendo i piccoli, i deboli e i disprezzati.
Un aspetto della sua identità completata nell’ultima apparizione: "Sono la Madre del Salvatore, la Madre di Dio".
Il titolo di Madre di Dio rappresenta la dignità massima a cui può aspirare una persona umana. È vero che Cristo in quanto «ultimo Adamo» (1 Cor 15,45), è il culmine dell’umanità, non come persona umana, ma secondo la natura umana. La persona che arrivò al grado supremo di realizzazione umana non è di genere maschile, bensì di genere femminile. Da qui quella «certa dignità infinita» che, secondo san Tommaso, la Maternità divina ha conferito a questa donna unica.
Evidenziando ora la prima parola del titolo ‘Madre di Dio’, troviamo ancora un altro elemento che depone per la dignità della donna. In effetti, solo la donna, in questo caso Maria, può essere generatrice di Dio (Theo tókos, Dei Genitrix). Non esiste un maschio che sia stato onorato con un’ipotetica ‘paternità divina’, sebbene questa non sia, di per sé un’impossibilità metafisica. La ‘paternità divina’, come tale, si esaurisce in Dio, il Padre. Ciò che esiste di fatto nella storia della salvezza è soltanto una ‘maternità divina’. Solo la donna può partecipare in un modo unico del potere generatore di Dio e, a partire da qui, del suo potere soteriologico.
Alla luce della Maternità divina di Maria, la maternità umana della donna di ogni donna acquista una nuova coloritura. È già un dono immenso quello di poter partecipare del potere creatore di Dio, generando esseri umani. Più grande ancora appare questo valore quando si prende coscienza che, per esso, è venuto al mondo il Salvatore. La benedizione portatrice di vita passò non per il seme del maschio, ma per il ventre della donna. Solamente una cultura che ha perduto il senso profondo del valore della vita può svalutare la maternità. E da questo non è stato del tutto immune lo stesso ‘movimento femminista’.
Pertanto, nel mistero di Maria troviamo l’affermazione culminante e insuperabile dell’eminente dignità della donna. Non per questo le domande sociali dell’attuale movimento femminista cessano di essere pienamente assunte, nello stesso tempo in cui sono infinitamente trascese, dall’affermazione teologica che, in Maria, la donna arrivò all’apice della sua grandezza una grandezza veramente ‘divina’. Da qui la giusta fierezza di cui dovrebbe tener conto la donna per il senso della sua massima dignità così come risplende nella Madre di Dio. «Non disprezzate voi stesse, o donne: il Figlio di Dio nacque da una di voi» esclama sant’Agostino, non sospetto di femminismo. In questo senso va anche l’affermazione del poeta mistico Enrico Suso: «Davanti alla donna, bisogna ricordare che una di loro fu Madre di Dio».
Il mito della dea madre può essere visto come una ‘profezia pagana’ che trova nella Theotókos della fede il suo pieno compimento. La carica simbolica ed emozionale che quest’archetipo ha galvanizzato per millenni, in termini di bisogno di protezione materna e di reciprocità, di bellezza perfetta e di idealità, può ora essere investita, in forma purificata e trascesa, in quella che è la vera ‘Grande Madre’: di Dio, dell’umanità e del cosmo. Di fatto, il culto a Maria Madre di Dio nulla deve sostanzialmente al culto pagano delle deemadri. La devozione alla Theot6kos nel cristiane simo si sviluppò da fonte propria, cioè dalla fede in Cristo, e anche in reazione al culto pagano, dovuto al legame di questo con l’esaltazione della sessualità e della fertilità.
Tuttavia, il culto ancestrale della deamadre e del giovane dio, suo figlio, finì per sfociare di fatto nel culto della Madre di Dio cristiana, che al di là di avere un corso indipendente, assunse il primo e gli conferì una nuova forma. Come dice E. O. James: nel quadro teologico cristiano, «l’eterna e universale preoccupazione riguardo alla vita e alla sua continuità... »1
Un legame, Maria, Mariette, poveri, che si rafforza nella costante recita del Rosario durante le apparizioni. Poveri e povertà come a Fatima, Lourdes, Banneux, Siracusa.
Il Rosario, catena che rafforza lo sguardo contemplativo dei piccoli ai quali viene rivelata la sapienza: “Ti benedico, Padre...” (Mt 11, 2526).
La strada. Queste apparizioni avvengono lungo la strada. La statua in ricordo delle apparizioni è posta lungo la strada. E immagine di semplicità, di ferialità, di ordinarietà. La strada in mezzo alla vita, luogo dell’incontro, della realtà, del lavoro, della vita normale di una piccola comunità. La strada, simbolo del cammino, dell’andare insieme. anche per strada si può incontrare Dio. Gesù stesso si definisce “la Via”. Lui vive ed opera, realizza la sua missione lungo le strade. Qui incontra la povertà, la miseria, gli ammalati,
il dolore, la fatica del vivere. Qui si realizzano i progetti di Dio: “Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: voce di uno che grida nel deserto. Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Mt 3, 3).
"Mentre camminava lungo la riva" chiama i primi quattro discepoli (Mt 4, 18), incontra il lebbroso (Mt 8, 41), chiama, Matteo (Mt 9, 9), guarisce due ciechi (Mt 9, 2731), vede la miseria delle folle (Mt 9, 3537), insegna (Mt 11,1), è tra le messi il giorno di sabato (Mt 12, l), parla m parabole (Mt 13, 13), visita Nazareth (Mt 13, 5354), guarisce la fialia della cananea (Mt 15, 2128), opera molte guarigioni (Mt 15, 2931), la trasfigurazione (Mt 17, 1), i due ciechi di Gerico (Mt 20, 2933), ingresso a Gerusalemme (Mt 21, 12), Nain (Le 7, 1317), Zaccheo (Le 19, 110).
Dalla strada al tempio. "Entrato nel tempio ... " (Mt 21, 23), i venditori cacciati (Mt 21, 12). Entrare e uscire dal tempio (Mt 24, l). La strada e il tempio, la vita e la fede, un rapporto imprescindibile.
Nella quarta apparizione Maria chiede la costruzione di una cappella. Il tempio (Mt 24, 12).
Costruire la cappella, costruire il tempio, costruire la Chiesa.
Paragone del corpo (1Cor 12, 1227), la gerarchia dei carismi, inno alla carità (1Cor 121, 2830), gerarchia dei carismi in vista dell’utilità comune (1Cor 14, 125).
Maria tempio di Dio. Scrive ancora Boff:
Teologia dei santuari: Maria, Tempio vivo di Dio
Tuttavia, ciò che ancor più penetra e segretamente attira i devoti ai piedi della Vergine Madre è il sentimento intimo che in Lei e per Lei essi possono entrare in contatto col mi stero di Dio e la sua forza salvifica. Quest’esperienza si esplicita e si discerne nella «teologia del santuario mariano». Secondo questa teologia, santuario è sempre santuario di Dio. Quanto a Maria, Ella appare come lo stesso santuario vivo e puro della Divinità. Ella è la nuova Tenda dell’incontro, la nuova Arca del!’ Alleanza, stabilita tra Dio e l’umanità. Questo si può dedurre dagli stessi testi biblici, specialmente dai racconti del!’ Annunciazione e della Visitazione.
In primo luogo, quanto all’ Annunciazione: come nel deserto l’ombra copriva l’Arca nella Tenda dell’incontro (cfr. Es 40, 35), così anche nel!’ Annunciazione, il «Potere dell’Altissimo coprì con la sua ombra» fecondante il nuovo tabernacolo del!’ incontro: il corpo della Vergine nazarena (Lc 1,35); e ancora, come un tempo il «Signore era in seno» all’antica Sion (cfr. Sof 3,1417), ora «il Signore è con» Maria (Lc 1,28) ed è anche «concepito nel suo seno» (cfr. Le 1,28).
Invece, quanto alla Visitazione: come l’Arca è salita a Sion e ha fatto esclamare a Davide: «Come potrà vedere me l’Arca del Signore?» (2 Sam 6,9), così anche Maria entrò nella casa di Elisabetta, mentre questa esclamava: «A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,43); e, come l’Arca della prima alleanza «restò tre mesi nella casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse lui e tutta la sua famiglia» (2 Sam 6,11), così anche, la nuova Arca, Maria, «rimase circa tre mesi con Elisabetta», santificando lei, suo figlio Giovanni e tutti i suoi (Lc 1,56).
La verità che Maria è il vero Tempio, dove si può incontrare Dio e la sua grazia, è vissuta e sperimentata dal popolo cristiano a partire dal suo sensus fidei molto più cli quanto sia propriamente coscientizzata e verbalizzata. Forse è qui la ragione più segreta del clima di festa che circonda i pellegrinaggi ai santuari della Madre e Regina. In effetti, fin dalla preparazione della festa, il popolo vive un ‘eccitazione immensa. L’emozione cresce a misura che si arriva al santuario, esplode alla vista dell’immagine, che è toccata e baciata men tre si fa la propria richiesta, per diminuire in seguito, fino a sciogliere il suo ultimo chiarore nell’ora del commiato.2
Nel linguaggio di Banneux è rilevante il segno dell’acqua. "Questa sorgente è per me", seconda apparizione. Lungo la strada, nel cuore della vita e della realtà, l’acqua. La samaritana, il pozzo, acqua zampillante (Gv 4, 115), l’acqua viva (Gv 7, 3735), il colpo di lancia (Gv 19, 3137), l’acqua dalla roccia (Gv 10, 15). Guarigione di un infermo alla piscina di Bethesda (Gv 5, 117).
La Vergine dei poveri si china sul mondo della fragilità, sulla debolezza, sul dolore.
Nella terza e nella quinta apparizione esprime la sua solidarietà, il suo amore materno per gli ammalati e con una delicatezza infinita ricorda che lei vuole addolcire la sofferenza.
Note: 1 - Cladovis Boff, Mariologia sociale, Queriniana, Brescia 2007, pp. 452-453.
2 - Idem, op. cit., pp. 592-593.
DA "CON MARIA A PIEDI SCALZI PER LE STRADE DEL MONDO"
don Vincenzo Sorce
EDIZIONI SOLIDARIETA' - 2017
Lo studio della storia sociale non può prescindere da un’analisi attenta della pietà popolare per il significativo intrecciarsi, tra il vissuto civile e quello religioso, generato da differenti motivazioni e sensibilità nel passato remoto e prossimo. Non sorprende, quindi, se ad esempio, lo storico estende le sue ricerche a tematiche essenzialmente religiose o che uno dei maggiori studiosi dell’età moderna e contemporanea, un laico, come Giuseppe Galasso, abbia atteso allo studio della santità femminile a Napoli, o che altri abbiano preso in esame la spiritualità, se non altro per riflettere sulla storia della mentalità o su come la spiritualità abbia contribuito all’evoluzione, anche civile, della comunità 10. La ricerca, attenta è profonda, attesta che la pietà alla Vergine è stata efficace e solo in parte "consolatoria". Maria è considerata la madre che offre certezza e sicurezza, conforto in particolare ai poveri, ed agli oppressi ed anche a quei devoti di diversa estrazione sociale a cui necessita un punto di riferimento, eminentemente spirituale, per superare crisi che appaiono irreversibili, ritrovare energie da tempo sopite, superare momenti di rassegnazione e di sfiducia 11. È stato scritto che "Maria entra in modo intimo nella storia dei popoli cristiani" 12, che "la sua storia è un’immagine del popolo umile"13. Nelle preghiere alla Vergine, emerge quel rapporto di gioiosa sottomissione che esiste tra Maria e il suo popolo e nello stesso tempo la certezza che solo lei potrà esaudire ogni richiesta. In Italia, al Nord e al Sud, vi sono santuari dove Maria è venerata con il titolo di Madonna dei poveri; nel 1933 anche a Banneux in Belgio, durante un’apparizione, ad una richiesta della veggente rispose: "io sono la Vergine dei poveri” 14, A Catania è invocata con l’appellativo di S. Maria dell’elemosina e a Perugia come Madonna dei cenciarelli 15. È, poi, significativo che venga invocata anche con l’appellativo di S. Maria dell’Equilibrio, la cui protezione si estende a coloro che sono poveri di risorse interiori 16. Di grande suggestione è la storia della devozione alla Madonna dei poveri di Seminara, in Calabria, che risale al XIII secolo, la cui basilica fu eretta in uno dei rioni più poveri, nel quartiere detto, appunto, "dei poveri", e proprio ai poveri è riservato il privilegio del trasporto della piccola statua, che fu scoperta nel 1010 a Taureana è detto in una memoria "in un sito illuminato da un raggio di luce abbagliante dove giaceva una statua tra gli anfratti che non si riusciva ad entrare e che fu possibile rimuovere grazie all’impegno di un gruppo di poveri; per questo fu chiamata Madonna dei poveri" 17. A Caccamo, in Sicilia, è conservato nella Chiesa di S. Maria degli Angeli, un dipinto del 1602 di Vincenzo da Barbera "La Madonna visita-poveri", raffigurante i copiosi doni della Vergine ai derelitti, costituiti soprattutto da ceste di pani; doni che, devotamente, venivano innalzati con animo grato al cielo per ricevere benedizioni". È Maria che costituisce un ponte ideale tra Chiesa e poveri, come Madre e Mediatrice; povera, ebbe l’altissima missione di presentare Gesù al mondo nel momento del suo ingresso nel mondo. Maria nei secoli è invocata come protettrice e presidio delle città, dei popoli, degli emarginati, in particolare, nelle calamità; la sua missione ebbe inizio con l’annunciazione ed il fiat.
Questi eventi antichi e meno antichi alimentano la convinzione che Maria sia mediatrice di grazie, particolarmente se richieste da poveri e sofferenti, in quanto Ella, povera, sofferente, destinata a seguire il Figlio nella via dolorosa, sul Calvario, è sensibile e si compenetra nelle sofferenze e nelle precarietà di vita degli "ultimi". Ella, che aveva affrontato il martirio del cuore presso la croce del Figlio 19.
Tutto questo ed altri aspetti e momenti della vita della Vergine nel corso dei secoli, sono stati invocati non certo, come attestano le fonti, perché la moltitudine dei devoti la considerava solamente operatrice di prodigi, ma, se non soprattutto, perché da quella sua maternità spirituale i devoti traevano alimento per non essere sopraffatti dalle lacerazioni interiori che portano ad una rassegnazione che genera inattività, stati confusionali, squilibri. Tutto ciò è avvertito particolarmente dalla rivoluzione industriale ai nostri giorni, in quanto con più accentuazione la vita dell’uomo è sottoposta ad un tecnicismo martellante, ad una scienza che a volte lede la dignità degli uomini, a nuove forme di oppressione e di schiavitù.
L’evoluzione, tra 1’800 e il 900, della devozione mariana, è, poi, dovuta alle nobilissime intenzioni di associare il progetto della devozione del culto mariano a quello di opere sociali a favore soprattutto di poveri e di emarginati, così come avvenne a Pompei ad opera di Bartolo Longo 20. La pratica devozionale proposta da Bartolo Longo era soprattutto quella del Rosario, considerato il catechismo dei ciechi, degli analfabeti, degli ammalati; questa devozione si diffuse rapidamente tra derelitti, emarginati, orfani, sofferenti. Non v’è dubbio, comunque, che fu la rapida e capi Ilare diffusione della devozione alla Madonna di Pompei in tutto il mondo a rendere saldi i legami tra l’Italia, il vecchio e il nuovo continente, e grazie al "Bollettino del Santuario", si è stabilita una sorta cli intesa spirituale prevalentemente tra gli emarginati ciel mondo, come è attestato. ad esempio, dalle centinaia di exvoto 21. È significativo che un emigrante italiano abbia motivato la sua gratitudine alle orfanelle di Pompei per le loro preghiere in questi termini: “moralmente abbattuto, finanziariamente scosso, senza occupazione alcuna, privo ormai di fiducia in me stesso e nell’avvenire, preso da una imperdonabile trascuranza perfino nelle pratiche della religione... mi sentivo sull’orlo cli un terribile precipizio... come per incanto in un’ora difficile e triste di crisi mondiale ho trovato, per le loro buone preghiere e per l’immensa bontà della Madonna, la mia occupazione. Si sono riaccesi nel mio petto il coraggio e la gioia; ho sentito vergogna e dolore di essermi abbattuto e di avere dubitato e, confidando nel celeste perdono, ho trovato l’antico fervore delle mie preghiere” 22, È una delle tante lettere, giunte al santuario pompeiano, che attesta filiale fiducia e speranza per una idonea soluzione di un grave problema, che a volte è richiesta di occupazione, buon esito di un esame, un trasferimento, un posto fisso, ma soprattutto il sostentamento indispensabile.
Questa corrispondenza, gli exvoto e tanti altri piccoli gesti attestano il persistente intrecciarsi di rapporti devozionali e sociali e nello stesso tempo ci consentono di comprendere il vivere quotidiano cli diseredati, appartenenti al piccolo ceto, ma anche notabili e nobili solo apparentemente ricchi e potenti, nuovi poveri, dalla fede antica e sernplice, che trovano in Maria la madre e la maestra. Non è azzardato affermare che vi è una dimensione familiare di Maria non solo per una sua presenza nella vita della famiglia 23 o che, del tutto, come rileva Don Giuseppe De Luca, "non c’è attimo della storia del cristianesimo, nel quale la Madonna non sia stata amata” 24. Per questo la devozione mariana era intimamente legata alla vita di ogni giorno della gente, per cui, ad esempio, a Chioggia alla Vergine Mediatrice si chiedevano grazie e veniva invocata come Madonna della giustizia 25. Vi è più familiarità, in particolare, tra i semplici e gli umili, con Maria che ha partorito in una grotta, ma soprattutto, perché madre e potente verso Dio 26. Vi è un legame spirituale tra i poveri e Maria perché essi la considerano una di loro, povera come loro, e con lei condividono il dolore per la crocifissione e morte del suo divino Figlio 27,
Tutto ciò non legittima una contrapposizione tra religiosità popolare mariana e religiosità “colta”, anzi come ha rilevato Veneruso per Genova “c’era, in questa gente, una singolare unità di vedute che recuperava tutta intera la religiosità del laicato senza distinzione di ceti e di culture” 28. Ciò è comprovato dai risultati delle ricerche, che attestano che la storia del culto mariano è storia della società civile considerata nei suoi vari aspetti e momenti di evoluzione o di crisi 29. In questo contesto si colloca tutto il servizio, un vero donarsi con amore, dei moltissimi istituti di vita consacrata, a favore degli emarginati tra i più emarginati, i più poveri della società. Ed è significativo che una di queste nuove istituzioni, promossa a Caltanissetta nel cuore della Sicilia, sia stata chiamata Santa Maria dei Poveri e si ispiri alla spiritualità mariana “per compiere un cammino di formazione e di liberazione degli ultimi”. I consacrati di S. Maria dei Poveri accettano la proposta di "seguire Cristo nel mondo, servendolo nei poveri mediante i voti di povertà, castità e obbedienza, ciascuno nel proprio stato, secondo la linea dell’amore gratuito di Cristo” 30.
In questa tormentata fine del XX secolo, come in passato, lo studio della pietà mariana offre elementi molto utili per una storia della società e, prevalentemente, del disagio sociale e della povertà. La comunità nissena di Santa Maria dei Poveri, che si occupa di portatori di handicap, opera con strumenti, metodologie, ultramoderne e raffinate e con un servizio che trova nella donazione a Dio, nella contemplazione e nella preghiera la sua linfa vitale. Vi è stata in ogni tempo una trasposizione dell’esperienza di povertà dei dise redati in quella della S. Famiglia, che emerge, ad esempio, in un canto natalizio dove la Vergine è paragonata a una mamma povera, ovviamente con tutti i suoi problemi, le attese, le preoccupazioni, tante incertezze anche sul futuro del figlio.
Il canto è carico di significato, la Madonna è una delle tante donne che affrontano e risolvono i piccoli problemi di madre, ovviamente senza riservare per sé alcun privilegio e, per questo, il legame devozionale si rinsalda, si radica la convinzione, nel popolo, che Lei, povera, condivida uno stato d’indigenza, interpreti la necessità della gente e chieda al Padre ed al Figlio anche quelle grazie che i devoti, per una sorta di reticenza, non osano chiedere.
II canto è suggestivo ed evoca modi di vita carichi di significato nella loro semplicità: “Era bella la Madonna; quando filava sempre si poneva in un cantone. Il figlioletto le chiedeva pane e lei, zitto, figlio mio, perché non ne abbiamo. Và a portare questo filato alla padrona, e ti darà un pezzo di pane” 31. Tutto nella normalità, così come accade in una famiglia dove manca il necessario per sopravvivere, dove Maria rammenda i vestiti di S. Giuseppe. In tutto ciò vi è, però, una novità, costituita dalla presenza di un Angelo che canta e benedice il bambino con queste espressioni: "Che bel figlio che ha fatto Maria!" mentre Giuseppe "vedendolo diceva: benvenuto, figlio di Maria". Un canto che potrebbe sembrare scaturito dalla fantasia e che, invece, introduce nel vivo di una spiritualità popolare e di una fede certamente radicata nell’animo dei devoti nel pieno rispetto dell’ortodossia.
A Lei tutto si chiede, con confidenza, per ottenere protezione dai soprusi dei potenti e dai "mali" della natura e si implora la grazia con espressioni accattivanti: "Vergine bella, regina della pace, consolatrice degli afflitti, sollievo dei miseri, respiro degli abbandonati, luce dei dubbiosi, rifugio dei peccatori, richiamo dei disperati, fortezza degli oppressi, sospiro dell’anima, calamità dei cuori e amore dei buoni, anima degli eletti, vita dei santi, allegrezza degli angeli, glo ria del Paradiso, compiacenza della SS. Trinità” 32 i titoli attribuiti alla Vergine che sono la sintesi di richieste di protezione celeste agli afflitti e ai diseredati, richieste che sono, per così dire, una sfida, tanto è vero che il colloquio devozionale così si conclude: "se tu non mi ascolterai, senti che farò io. Mamma di grazie. Inginocchiato a te dinanzi, ti stringerò le mani, ti toccherò i piedi, te li bagnerò di calde lacrime e tanto tempo starò così, tanto piangerò gridando sino a che tu intenerita e commossa non mi dirai: alzati che la grazia te l’ho fatta". 33
NOTE:
10 C. Galasso, L’altra Europa. Per un ‘antropologia storica del Mezzogiorno d’Italia; Milano, 1982, p. 82 ss.; C. Naro Spiritualità dell’azione e cattolicesimo sociale, Caltanissetta, 1989.
11 S. Dè Flores, Maria presenza viva nel popolo di Dio, Roma, 1980; P. Borzomati, Per una devozione mariana in Calabria nell’età contemporanea, in Studi storici sulla Calabria contemporanea, Chiaravalle Centrale, 1972, pp. 171194.
12 S. De Flores, Op. Cit., p.169
13 Ivi, p.170
14 D. Ferrara, La Madonna dei poveri di Seminara e di Banneux nelle Ardenne, in "Calabria letteraria", 4.5.6 aprilegiugno 1990, pp.5960; G. Pignataro, Il culto delle Madonne nere di Seminara, s.d.
15 Annuario Diocesano, La chiesa di Catania nell’anno 2000, pp.195 ss.
16 Immagine di S. Maria dell’Equilibrio venerata nell’Abbazia Cistercense, Frattocchie (Roma)
17 G. Pignataro, op. cit.
18 F.P. La Mattina, La natura morta in Sicilia nell’iconografia sacra del Seicento, Caltanissetta, 1997, p.67
19 M. Pretto, La pietà popolare nel Meridione d’Italia, in Liturgia e pietà popolare. Dimensioni. Valori. Problemi. Roma s.d., pp. 6768, in particolare p. 67
20 G. De Rosa, Bartolo Longo anticipatore dell’intelligenza laicale del cristiano moderno. in AA.VV. Bartolo Longo e il suo tempo, Roma. 1983. I. pp.2352. Pompei ha svolto una eccezionale opera di assistenza ed educativa per migliaia di orfani poveri provenienti da famiglie indigenti e non solo per i figli dei carcerati.
21 P. Borzomati, Bartolo Longo e la via meridionale alla santità, op. cit. pp.511527
22 R. Violi, Religiosità e identità collettive. I santuari del Sud tra fascismo, guerra e democrazia, Roma 1996, p.63
23 V. Bo, Feste, riti, magia e azione pastorale, Bologna, 1984
24 G. De Luca, Scritti sulla Madonna. Roma, 1972, p. l 79
25 D. De Antoni, Segni della pietà, devozione e fede del popolo chioggiotto nell’Ottocento e nel primo novecento, in AA. VV. Studi in onore di Gabriele De Rosa, a cura di A. Cestaio, Napoli, 1980, pp.829891, in part. pag.863
26 G. Agostino, La pietà popolare come valore pastorale, Cinisello Balsamo, 1987, pp. 152154
27 A. Sonetti, La pietà popolare con particolare riferimento al culto mariano, in AA. VV, Liturgia e pietà popolare, cit. pp.5966, in part. pag. 62
28 D. Veneruso, Azione pastorale e vita religiosa del laicato genovese durante l’episcopato del cardinale Carlo Dalmazio Minoretti (1925-1938), Genova, 1960, p.143
29 S. Lelli, La Madonna del popolo: storia di un culto, in Storia della Chiesa di Cesena, a cura di M. Mengozzi, Cesena, 1998
30 V. Sorce, Il coraggio di osare. Un prete dal tempio alla strada, Ed. Paoline, Milano, 1995, pp.6566
31 M. Pretto, La pietà popolare in Calabria, presentazione di Mons. G. Agostino, Cosenza, 1988, p. 355
32 P. Borzomati, Per una storia della devozione mariana in Calabria, cit. pp.185-186
DA "COMUNITA' S. MARIA DEI POVERI - CONTEMPLATIVI NELLE STRADE"
don Vincenzo Sorce
EDIZIONI SOLIDARIETA' - 2001
È qui presente Cataldo Naro, mio punto di riferimento quasi quotidiano. Ma è qui presente anche un altro punto di riferimento quotidiano: Mario Agnes. È presente la sorella di Agnes. Accanto alla sorella di Mario anche mia moglie. E dietro queste, le sorelle di don Vincenzo. Una festa di famiglia!
Le coincidenze della vita ci hanno portati a questa grande festa della vita che ci ha consentito di illustrare le riflessioni che oggi Mario ci ha fatto sul sacerdozio, sul servizio e, alla fine, anche sul Mezzogiorno, con la puntualizzazione sulle donne del sud.
Io penso che questo volume sia la sintesi di un percorso spirituale della vita, della rivelazione del servizio ma sia anche la storia di un Istituto di vita consacrata promossa in questa seconda stagione del post Concilio.
In questo libro spiritualità e azione si intersecano fra loro. Tutto ciò si riscontra in questo volume in maniera mirabile attraverso un’ispezione dei fatti ricca di vero fascino e di suggestione che ci lasciano il dolce nella bocca, per cui dobbiamo essere grati a Sorce.
La presentazione di Naro è molto piacevole, però mi sia consentito di leggere quanto scrive Cataldo nella presentazione: «Pare a me che questo racconto sia principalmente, seppure non esclusivamente, una confessione alla maniera delle "confessioni" di Sant’Agostino, cioè il racconto della propria vicenda per scorgervi l’azione di Dio, per cogliere un filo rosso, per farvi emergere la linea di continuità, quella che è destinata, in definitiva, a segnare lo sviluppo futuro».
L’accostamento a Sant’Agostino è appropriato. Una forte esperienza di fede, spiritualità e contemplazione insieme, apparenza missionaria e pastorale, nel senso che dà forza all’esercizio del bene di Sorce e nello stesso tempo indica alle anime desiderose di perfezione la via più idonea per rinsaldare e diffondere la dottrina.
Don Naro dice: «La sua radice è quella raccontata nel libro: la risposta ad una chiamata, anzi a più chiamate, ad intervenire in favore di poveri e di emarginati». C’è quindi una piena e fedele attuazione della volontà di Dio, di un progetto che Dio vuole.
Che si tratti, infatti, di un progetto di Dio si nota sin dalle prime battute di questo libro, a partire dalla maturazione della vocazione, di cui Sorce parla in un articolo apparso sul periodico del Seminario nisseno «Vieni e seguimi». Don Sorce traccia in quell’articolo giovanile il suo programma, vale la pena che io ve lo legga: «Signore ... è impossibile la nostra coerenza, perché le nostre promesse si dissolvono al vento ... , la nostra docilità al Papa e al Vescovo non è facoltativa, la nostra comunione con tutta la Chiesa è la condizione per non sciupare la nostra vita». Coerenza e fedeltà, lealtà ecclesiale, disponibilità, non semplici principi ma modi di vita.
Sorce va anche in Brasile. Proprio per questo ha coraggio. Questo è il frutto di un’altra scelta spirituale e soffermandoci ancora sul citato articolo ne colgo un’altra dimensione. Sarebbe terribile per noi se dimenticassimo che il prete non è un uomo arrivato, il detentore della verità, non lo è! «Signore, non permetterci di trasformare il nostro sacerdozio in un’azione sindacale, in un’agitazione demagogica per illudere e deludere i fratelli ... Se ti facciamo dono del nostro celibato, non è perché vogliamo rinunciare ad amare. Anzi, sappiamo che solo in un amore totalitario, verso Te e verso i fratelli, il celibato acquista il suo vero significato».
Si ritrova in questo programma di Sorce un amore sviscerato che si realizza nel suo consumarsi per i poveri e gli emarginati.
Se prescindessimo da questi principi o dimenticassimo i punti cardini della sua spiritualità, non capiremmo le ragioni del suo agire, delle evoluzioni interiori, del suo promuovere opere in Brasile.
Si colgono nelle sue scelte intime tracce della spiritualità proposta da don Alberione, a Catania, dove lui ha avuto un momento di sosta.
Molti sono gli aspetti determinanti nella sua formazione. Ma, in realtà ho l’impressione che egli si sia realizzato veramente nella Chiesa locale, nella Chiesa nissena.
Ecco la Verna, il francescanesimo, Gemelli, la Regalità, don Alberione e la Chiesa locale.
È nella Chiesa locale che don Sorce ha incontrato Nino Sidoti, affetto da sclerosi multipla; Teresa Giordano, Graziella e Rosetta, affetta, quest’ultima, da dermosclerosi, la quale gli chiese che alla sua morte fosse rivestita con l’abito nuziale.
Io sono rimasto molto colpito da questa Chiesa locale, dove Giovanni Paolo II, in visita pastorale, gli disse: «Continua, figliolo, c’è tanta gente che soffre», confermandogli con grande solennità il mandato che Dio gli aveva affidato. Don Sorce si convince sempre più, così scrive, che la carità cristiana ha bisogno ‘di professionalità, di creatività, di modernità, di strumenti idonei al risultato da raggiungere. Aggiunge poi dicendo che «Casa Famiglia Rosetta» è il risultato di un amore creativo, fatto di intuizioni, frutto soprattutto della competenza e dell’entusiasmo degli operatori di tutti i settori. Questa è stata osteggiata, ma non è una novità. Anche a Gravina l’opera di don Eustachio Montemurro è stata osteggiata.
È stata osteggiata, scrive con una punta di ironia polemica don Vincenzo Sorce, da questi istituti bancari inattivi per le loro scelte clientelari.
Eppure, a scanso di equivoci, don Sorce aveva detto che tutte le opere dell’Associazione sono nate come attenzione al territorio, con spirito di servizio, non certo per smania di espansione o di potere, per efficientismo o delirio di onnipotenza.
Questo è molto importante in un territorio dove la logica clientelare strumentalizza il servizio per trarne profitti.
Don Vincenzo sa bene come sono arrivati i notabili politicanti ed amministratori di enti locali, non certo esemplari. Tutta questa attività a favore dei disabili è molto apprezzata dalla gente,
ma sempre inspiegabilmente è boicottata e ostacolata dall’Unità Sanitaria Locale. Ma Sorce è tenace, si sacrifica oltre misura al punto da essere costretto ad interrompere ogni attività per occuparsi del recupero dei drogati.
Dalle sorelle e dai cognati riceve aiuti fino ad oggi: tant’è, come racconta l’autore nel suo libro, che tutte le volte che il frigorifero era vuoto, le sorelle accorrevano a riempirlo perché servisse a sfamare i suoi assistiti.
«Ma tutto ciò non bastava; non bastava scrivere, lavorare, servire. Il Padre Celeste si chiedeva di organizzare la nostra vita a modo suo».
Santa Maria dei Poveri è storia di altri tempi remoti, non ho tempo di fare un certo discorso a questo riguardo.
Tutti i fondatori hanno sentito quest’esigenza per rendere più saldo e qualificare il· servizio.
E la comunità nissena di Sorce «si muove perseguendo così scrive l’autore una spiritualità fondata sulla teologia dell’Incarnazione e della Croce, che furono i dati essenziali nella vita della Vergine Maria, madre e modello della nuova esperienza, e la missione di compiere un cammino di formazione e di liberazione degli ultimi». E allora, una spiritualità cristocentrica.
Il Vescovo ha detto: «È un’associazione che ha il fine di promuovere la santificazione dei soci, attraverso l’evangelizzazione e il servizio degli ultimi».
Si concretizza così con l’Istituto di vita consacrata.
Ed ecco «l’amore scrive Sorce di operatori generosi che scelgono di servire Cristo negli ammalati di AIDS senza pretendere alcun riconoscimento di eroismo, senza enfatizzazione del sacrificio, ma in un servizio quotidiano, gioioso, fraterno».
Anche il carcere è indubbiamente luogo di sofferenza, radice di odio, ma può diventare anche l’occasione di decisioni che cambiano la vita.
Dice P. Sorce nel suo diario spirituale: «Non c’è Vangelo senza croce, né sacerdozio senza crocifissione».
Grazie.
DA "TONACA DI STRADA - IMMAGINI E PAROLE
D’UNA CAROVANA DI SPERANZA"
don Vincenzo Sorce
EDIZIONI SOLIDARIETA' - 1996
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